Da Cracovia ad Auschwitz
In una mattinata freddissima, circondati da neve e ghiaccio lungo la strada, prima che il sole faccia capolino, ci dirigiamo verso uno dei luoghi che ha segnato la storia dell’umanità. Il paesaggio che vediamo sfilare dai finestrini è monocorde. Una pianura gelida, imbiancata e buia affianca la strada che ci conduce ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau.
Il Campo di concentramento di Auschwitz
Non credo si possano descrivere le sensazioni che si provano durante la visita nei campi di morte più famosi. Ci si vergogna a pensare che degli uomini possano aver concepito ed eseguito un crimine di questo livello. Si prova orrore. Non si riesce a capire. Ci si rende conto che, nonostante si sia studiato sui libri quello che è successo, anche essere qui non può rendere la dimensione del baratro di umanità che si è scavato poco oltre mezzo secolo fa.
Auschwitz: Il gelo lungo i viali
Di certo c’è una cosa: non ho mai provato così tanto freddo in vita mia. Uso la mano destra per reggere la macchina fotografica, e dopo pochi minuti perdo la sensibilità all’arto. Non scherzo. Eppure indosso una maglia termica, due felpe in pile, un giubbottone, una cuffia, i pantaloni, i calzettoni e delle scarpe da trekking. Siamo poco sotto lo zero, e indossiamo tutto ciò che siamo riusciti a mettere su. Riesco solo vagamente a immaginare cosa abbiano passato gli ebrei, gli zingari, i preti, gli intellettuali, i gay e tutte le altre persone che sono finite ad Auschwitz e Birkenau. In particolare nel 1942, quando si registrò una temperatura di -40 gradi centigradi, coperti di pochi stracci e costretti all’appello (che durava ore) lungo le vie tra questi casermoni ad Auschwitz.
50 minuti ed essere ancora vivi.
Dopo 50 minuti la nostra guida si ferma e ci dice che siamo stati nel campo di concentramento più a lungo di quasi tutti i deportati. Il 90% di loro veniva ucciso dopo appena 45 minuti, poco dopo essere scesi dal treno. Un treno per il quale pagavano il biglietto, convinti dai nazisti di andare a rifarsi una vita. E infatti nel campo di concentramento sono stati trovati tantissimi oggetti che sarebbero serviti per questa nuova vita, che non ci sarebbe stata. Una menzogna agghiacciante. Continuiamo a camminare lungo queste vie terribili. Visitiamo le stanze, i corridoi, i forni. Questo posto è malato e non guarirà mai. Sembra di stare a Chernobyl. C’è qualcosa di guasto nell’aria, e temo sia l’odore schifoso dei negazionisti, dei nuovi fascisti e dei nuovi nazisti. Di quelli che sperano nel ritorno delle dittature
Birkenau: Aumenta il freddo!
Torniamo al pullman. Le nocche della mia mano destra sanguinano. Il freddo ha reso la pelle meno elastica e a furia di sfoderare la macchina fotografica dalla tasca mi sono tagliato, anche se di sangue ne perdo davvero poco. Ripartiamo, stavolta verso Birkenau. La guida ci dice “copritevi. A Birkenau fa molto più freddo”. Non mi capacito. Sono completamente congelato e non ho altro che possa riscaldarmi ulteriormente.
Birkenau – La bocca dell’Inferno
Arriviamo al parcheggio di Birkenau, e ci dirigiamo verso l’iconica bocca di questo mostro che ha divorato e distrutto la vita di migliaia e migliaia di persone, e che continua a distruggerne anche la memoria materiale. Mentre Auschwitz è fatto di mattoni, qui il campo era fatto di baracche di legno, delle quali ormai restano solo poche vestigia. Ciò che resta è una sorta di buco nero temporale gelido, spazzato da raffiche di vento siberiano che ti spezzano dentro. In questo luogo sono state applicate le regole della produzione industriale al genocidio. Questo luogo ci indica con le sue ultime forze quanto profondo possa essere il baratro della coscienza umana. Auschwitz e Birkenau non toccano le corde del nostro spirito per insegnarci ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Le strappano e ci lasciano affranti.